martedì 30 novembre 2004

Io e la disabilità


Handicap

Pur avendo papà in carrozzina per un certo numero di anni, ho sempre avuto un certo disagio a confrontarmi con la disabilità.
Il pensiero più ricorrente è la pena per una persona che non può camminare, non può sentire o che è fuori di testa: e questa pena la porti dentro e speri di non essere coinvolto in un rapporto più diretto che metta a nudo la tua incapacità di poter far qualcosa.
Da tre anni frequento un’isola felice dove, quando porto porto i miei amici o conoscenti, rimangono a bocca aperta nel vedere come strutture pubbliche rispondano in modo efficace e addirittura simpatico alle esigenze di persone più sfortunate di noi.
In via San Marino siamo noi, non disabili, ad essere diversi perché ‘la tribù dei disabili” come viene definita da Tullio Regge vive la sua esistenza con una serenità che traspira da volti impegnati nel lavoro, nelle pause nella totale normalità.

Una serenità interna frutto magari di tante sofferenze, ma che adesso è lo specchio di un animo a posto con se stesso e con il mondo.
E chi lavora con loro ha capito che oltre alla disabilità c’è l’individuo ed è con questo individuo che ci si confronta: si scherza, si ride, si riprende se le cose non sono state fatte come indicato.

Una persona come tutte le altre: questo è il salto relazionale che si deve fare operando con i disabili.
Non solo apparenza, ma un sentimento che viene spontaneo dal cuore.
Una persona, delle persone che mi stanno insegnando il valore della vita, il valore di una piccola conquista voluta fortemente con l’impegno e la costanza.

Grazie a tutti per quello che mi state donando.

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